Da appassionata di storia mi sono sempre interessati i racconti dal passato. Ho spesso sentito parlare del famoso caffè di cicoria bevuto in tempi passati e del famoso contrabbando praticato nelle montagne tra Italia e Svizzera. Spinta dalla curiosità mi sono chiesta come fosse il rapporto tra gli italiani e il caffè negli anni addietro in particolar modo durante le guerre.
Nel corso dell’ottocento e nei primi anni del novecento in Italia il consumo di caffè era diffuso solamente tra le classi alte, nei salotti borghesi e aristocratici; l’italiano medio non beveva caffè. Quando scoppio’ il primo conflitto mondiale si decise di inserire nella razione giornaliera del soldato al fronte 15 grammi di caffè macinato e 20 grammi di zucchero, quantità che diminui’ quasi immediatamente per poi scomparire del tutto o essere sostituita con surrogati. Il caffè non era considerato un bene di prima necessità. In seguito alla famosa disfatta di Caporetto nel 1917 venne reinserito il caffè per dare energia ai soldati e renderli più vigili e reattivi, questo fu possibile anche grazie agli ingenti aiuti umanitari ed economici da parte degli statunitensi.
Oltre al potere rinvigorente il rito del caffè per i soldati in trincea era uno dei pochi momenti conviviali e di tregua dalle fatiche del fronte, uno stimolo morale e una fonte di conforto. Una volta conclusa la guerra i soldati tornarono a casa e continuarono a mantenere l’abitudine di bere caffè al mattino, abitudine che si è mantenuta fino a oggi.
Con l’avvento del fascismo si iniziò a parlare di autarchia e autosufficienza economica. A partire dalla metà degli anni trenta il caffè bevuto dagli Italiani proveniva interamente dalle colonie del Corno d’Africa. Dal momento in cui l’italia decise di prendere parte al secondo conflitto mondiale divenne sempre più difficile e costoso reperire caffè, per poi diventare impossibile nel 1941 con la perdita delle colonie. Fu proprio in questo momento che iniziarono a diffondersi le bevande succedanee al caffè prodotte con: carciofi, orzo, segale, malto, cicoria e fichi. Sempre nell’ottica dell'autosufficienza il governo fascista promuove il consumo di tali prodotti e disincentivare o addirittura proibiva l’assunzione di caffè.
Di questi prodotti surrogati si sapeva ben poco, non esistevano ricette o tecniche di estrazione precise. Venivano preparate in modo casereccio, dai racconti degli anziani si puo’ capire che erano bevande molto annacquate, con un sapore amaro e ovviamente senza la carica energetica della caffeina. Per arrivare alla quasi totale scomparsa di questi prodotti dobbiamo aspettare gli anni sessanta con il boom economico e la diffusione del caffè a livello di massa.